martedì 20 novembre 2007

MON863: un caso controverso... ma anche no.

Per continuare la serie: "gli scienziati divisi (o magari anche no)", vorremmo raccontare la lunga storia di un ogm apparentemente controverso (ma, come si sa, le apparenze ingannano), dando seguito ad alcune curiosità nate dopo il nostro post sul legame tra mais ogm (Mon810) e fumonisine, argomento che, grazie all'INRAN, oggi è tornato alla ribalta.

Il mais in questione si chiama MON863...

Prima di cominciare una premessa: noi crediamo che se tu hai un fratello spiantato non per questo lo sei necessariamente anche tu e ci piace applicare il medesimo principio anche agli OGM (non ci pare poi così assurdo): ogni ogm fà caso a sè e quindi si deve giudicare, appunto, caso per caso.

Nel nostro post sulla fumonisina il mais ogm cui ci riferivamo è un mais modificato per essere resistente alla piralide. Si chiama MON810 e da quando è stato approvato, ormai 10 anni fa, non ha mai dato fastidio a nessuno. Quindi non ci vergognamo a sostenere, alla luce della sua capacità di ridurre significativamente questo potente cancerogeno, che esso offra ai consumatori più garanzie di sicurezza del mais convenzionale o biologico.

Veniamo però ora al suo fratello minore che invece pare, il congiuntivo è d'obbligo essendovi la presunzione di innocenza fino a prova contraria, sia invece una testa calda. Vediamo un po' come stanno le cose...

Chi è il MON863?
Il MON863 è un mais geneticamente modificato per essere resistente non alla piralide, ma ad un'altro insetto che si chiama Diabrotica virgifera (endemico negli Stati Uniti, e dal 1992 apparso anche in Europa). Il meccanismo attraverso cui è stato reso resistente è simile a quello del fratello Mon810, gli è stato infatti insegnato a produrre una proteina, in natura prodotta dal batterio Bacillus thuringiensis (da qui il nome in codice Bt), che funziona come insetticida “naturale”. Il vantaggio delle tossine del Bacillus thuringiensis (il quale ne produce un sacco) è che sono molto specifiche e molte di esse non sono tossiche per i mammiferi e quindi nemmeno per l’uomo, questo perchè 1) vengono attivate ad un pH basico e noi abbiamo una digestione acida; 2) richiedono delle proteasi specifiche che sono presenti nello stomaco degli insetti e 3) devono legare dei recettori che noi non possediamo. In particolare per quest'ultima ragione, anche se nel mais bt le proteine sono presenti in forma già attivata, in ogni caso non provocano alcun problema per uomo e animali. E proprio perchè le tossine bt sono innocue per l’uomo, il Bacillus thuringiensis (sottoforma di spore vive) è usato largamente (dal 1920) nelle strategie di lotta biologica ed è autorizzato anche in agricoltura biologica.


Come è stata valutata la sicurezza del MON863?

Nel luglio del 2002 la Monsanto, che ha sviluppato il MON863, presenta presso le autorità tedesche richiesta di autorizzazione al commercio di mangimi e alimenti derivati da MON863. La richiesta è corredata da un dossier tecnico, che include tutti gli studi chimici sulla composizione di questo mais, i test per verificare l'assenza di allergenicitá, i risultati di studi di sicurezza sul singolo inserto genico e sui suoi prodotti (ovvero la proteina Cry3Bb1), uno studio di 90 giorni su ratti, uno studio sui polli e uno su vacche da latte. Gli studi sono stati effettuati in laboratori specializzati seguendo linee guida internazionali, ovviamente a spese della Monsanto.

Il comitato scientifico tedesco conclude che non ci sono motivi per supporre che la commercializzazione di questo mais implichi dei rischi per la salute. Come da procedura, questa prima valutazione viene resa disponibile al pubblico per commenti.

Tra i commenti pervenuti, alcune critiche sono espresse da diverse parti (tra cui la Commission du génie biomoléculaire, un organo consultivo del Ministero francese) riguardo allo studio di 90 giorni sui ratti: in esso si evidenziano infatti alcune differenze statistiche per alcuni parametri ematici.

Nel 2003 il comitato scientifico sugli ogm dell’EFSA, su richiesta della Commissione Europea, valuta tutte le critiche fatte al dossier, e conclude che nonostante si siano riscontrate alcune differenze statisticamente significative, i valori ricadono nella media della popolazione e non sono quindi ritenute biologicamente rilevanti.
L'EFSA tra l'altro afferma:
the dossier contains well-performed toxicological studies with the relevant species of animals and a statistically well-designed set-up. These studies were performed under quality assurance programs and OECD guidelines. The results of these 90-day rodent studies do not indicate adverse effects from consumption of maize lines MON 863.

Ma allora?! Come si spiega che ci siano delle differenze statisticamente significative, ma che gli esperti concludano che lo studio non indica alcun effetto collaterale?!
Beh, tutta colpa della statistica e di un italiano (vediamo se riusciamo a spiegarlo in modo comprensibile, la statistica è pur sempre statistica).

Se io vado a castagne e raccolgo 10 castagne sotto un albero, è possibile che ne trovi 2 con un "amico" al loro interno. Questo vuol forse dire che il 20% delle castagne di quell’albero sono bacate? Non lo so, magari se ripeto la raccolta (campionamento) ne trovo 4, ma è possibile anche che ne trovi 7 di bacate, ma non so se il mio risultato è dovuto a come le ho raccolte (può essere che sia stato solo sfortunato a beccarne 7 bacate!) oppure se è proprio l’albero che ha veramente il 70% di castagne bacate.

Insomma qual è la probabilità che il valore che io osservo è dovuto al caso (campionamento) oppure è un valore reale?

Per rispondere devo raccogliere più castagne. Ma più castagne raccolgo e più, in termini assoluti, castagne bacate trovo!
In sintesi, se esamino 1 parametro (n. di castagne bacate) e vedo una differenza, la differenza che osservo è magari significativa. Se però si presenta all'interno di una analisi di 100 parametri (peso, numero di aculei nel riccio, colore della castagna, presenza di "amici"...) potrebbe rientrare, se usiamo una "confidenza" del 95%, nel 5% di errori casuali dovuti al campionamento e allora quella differenza perde di significatività.

Esaminare dunque 100 parametri (o oltre 400 come nel caso del Mon863) è come fare 100 volte lo stesso esperimento: è logico aspettarsi che ci siano delle misurazioni che si presentano come significativamente differenti, ma se queste si mantengono in quel 5% di "confidenza statistica" ciò ci consente di dire che, "con tutta probabilità", non lo sono..

Nel caso Mon 863 questo è confermato anche dal fatto che andando ad esaminare le differenze osservate non c'è alcuna relazione tra dose ed effetto, ad esempio usando due livelli di assunzione nella dieta (11 e 33%). Stando ai cardini della tossicologia se una cosa è tossica, più ne mangi più ti fa male, per cui se il Mon 863 fosse tossico dovremmo osservare un effetto "negativo" proporzionalmente superiore nei topi alimentati con il 33% di Mon 863 rispetto a quelli alimentati con il 11%. Invece avviene il contrario.

Peraltro va sottolineato che, in fase di valutazione di un ogm, vengono sempre testate dosi molto più alte rispetto al reale consumo previsto di un prodotto: il 33%, ad esempio corrisponde a circa 33 grammi/kg peso corporeo/giorno, quando invece il consumo europeo medio di mais é di 17 grammi/persona/giorno, ovvero più di 100 volte inferiore (insomma è come se invece di una aspirina gliene avessero date 100 e non gli è successo nulla! Come si fa a dire che fa male sta roba!). Questo consente di avere un elevato margine di sicurezza quando si stabilisce l'innocuitá di un prodotto.


Dove sta la controversia?

Ma torniamo alla nostra storia: Greenpeace e Crii-gen (un comitato di ricerca e di informazione che si dichiara "indipendente", ma che non ha mai fatto mistero della propria posizione anti-ogm senza se e senza ma) chiedono e ottengono l’accesso al report stilato dagli esperti della Commission du génie biomoléculaire (che nel frattempo, a seguito delle chiarificazioni fornite sullo studio, aveva concluso positivamente sulla sicurezza di MON863) e, dopo l’opinione dell’EFSA, che avrebbe dovuto, almeno in teoria, fugare tutti i dubbi, ripartono più agguerriti che mai iniziando una battaglia legale per ottenere l’accesso ai dati originali dello studio della Monsanto.

I dati originali di questo studio infatti, presentati integralmente (e senza alcun tipo di occultamento) alle autorità nazionali e comunitarie, non erano ancora disponibili al “grande pubblico”. Il lavoro sarà inviato da Monsanto per la pubblicazione nel 2005 e saranno poi divulgati nel 2006 dall’inglese Food and Chemical Toxicology (senza nascondere le "differenze" riscontrate). Nel frattempo, vinto il processo, nel 2005 Greenpeace ottiene tutti i dati originali e li manda al Crii-gen per la contro-valutazione. Il Crii-gen guidato dal dott. Séralini pubblica la sua versione dei fatti nel maggio 2007 sulla rivista statunitense Archives of environmental contamination and toxicology.


Séralini nel suo articolo, pur riconoscendo a Monsanto il fatto di non aver occultato alcun dato e che la statistica utilizzata nello studio è corretta, prova una statistica alternativa e sostiene che le misurazioni dei parametri ematochimici rivelano segni di tossicità epatorenale e quindi questo prodotto non puó essere considerato sicuro.

A questo punto, urgeva un’opinione super partes per stabilire quale delle due versioni dei fatti fosse quella "credibile". Insomma delle due l'una: o è sicuro o non lo è.

L’EFSA, che è tutt'altro che un “passacarte delle multinazionali”, incaricata del riesame del dossier Mon863 alla luce delle osservazioni di Seralini, prende tempo e, data la delicatezza del tema, va con i piedi di piombo avvalendosi della collaborazione di due statistici indipendenti, della sopracitata Commission du génie biomoléculaire e dell’Agenzia francese per la Sicurezza alimentare (Afssa).

E tutti insieme appassionatamente concludono che l’allarmismo di Séralini et al. non ha fondamento...

...e vissero felici e contenti.




Alcuni note a margine dei documenti "originali":

L’Afssa tra l'altro afferma: "Ces auteurs semblent méconnaître la règle élémentaire régulièrement soulignée par la communauté scientifique et les institutions internationales, à savoir qu’une différence statistique significative ne conduit pas nécessairement à une conclusion biologique" (questi autori sembrano misconoscere la regola elementare regolarmente sottolineata dalla comunità scientifica e le istituzioni internazionali, e cioè che una differenza statistica significativa non conduce necessariamente a una conclusione biologica).
Che l’ipotesi di Séralini non fosse proprio tutta questa simpatia di credibilità, era dimostrato anche dal fatto che già nel 2004 i reni dei ratti usati in questo studio furono riesaminati “alla cieca” (cioè senza sapere da quale gruppo di animali, alimentati con Mon863 o meno, i reni provenissero) da anatomopatologi indipendenti che conclusero che non vi era alcun segno di tossicità. Ma magari tutti questi scienziati erano solo dei venduti, come si usa dire di recente.
Come spesso accade in tema di OGM (altro brillante esempio nè è il caso Ermakova) molti si domandano “perchè per fugare ogni dubbio non è stato ripetuto lo studio?”. La domanda è lecita, ma un po’ ingenua: da anni c’è un intenso dibattito sulla necessità/utilità di sacrificare animali da laboratorio per la ricerca. Problema peraltro sollevato a più riprese da gruppi animalisti non molto lontani da quelli anti-ogm (Per approfondire qui il link a un interessante post di un altro blogger, che peraltro è pure contrario agli ogm). Per questo esistono apposite commissioni etiche che valutano l'opportunità di tali sperimentazioni.

Etica vuole dunque che i test sugli animali vengano effettuati solo se necessario, e che qualora siano disponibili sufficienti informazioni provenienti anche da altri tipi di test (chimici, in vitro ecc.) i test sugli animali vadano evitati. Il caso del MON863 è un classico esempio in cui sacrificare altri animali può far piacere a chi si oppone agli OGM, ma non risulta affatto necessario. Infatti non è vero che lo studio effettuato indichi un sospetto di tossicità, e non lo dice BBB! ma: l’Istituto Roch, l’EFSA, l’Afssa, la CGB, due statistici indipendenti, per non parlare dei referees di Food and Chemical Toxicology, a nostro modo dunque un buon numero di "esperti" (di quelli veri si intende) che sostengono tra l'altro che non ci sono dubbi sulla qualità dello studio presentato nel dossier. Se poi si aggiungono anche tutte le altre informazioni disponibili su questo evento presentate nel dossier, è facile pensare che nessun comitato etico serio approverebbe una nuova sperimentazione sui ratti solo per soddisfare la curiosità di qualche "cronico" oppositore.


P.S.: Abbiamo richiamato spesso in questo post la nostra opinione (in ogni caso massimo rispetto per chi la pensa diversamente da noi) sul fatto che non si possano definire tout court "indipendenti" o "esperti" coloro che sono ideologicamente (o economicamente) schierati contro gli ogm. Parlando per esempio del dott. Séralini, ci viene infatti il sospetto che le motivazioni che lo portano a dichiarare la presenza di “segni di tossicità” (nonostante, stimandolo come ricercatore, crediamo si renda perfettamente conto che la statistica dice altrimenti) risiedano più in una certa preconcetta avversione verso il geneticamente modificato per sè (o le multinazionali, o magari anche solo simpatia per coloro che sostengono il suo comitato) piuttosto che nei dati sperimentali. Sarà poi un caso che già prima che la discussione sullo studio in questione cominciasse (ovvero nel settembre 2002) il Crii-gen dichiarasse la sua “avversione” a priori verso questo mais resistente alla Diabrotica?

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Decisamente un ottimo intervento. A prescindere dalle conclusioni, la quantità di argomentazioni e gli innumerevoli link rappresentano un materiale preziosissimo per chi, non essendo specialista, ne vuole sapere di più.
Intanto, un sicero grazie.

Anonimo ha detto...

Concordo, grande post... le castagne mi sono un po' sfuggite di mano, ma il resto è molto chiaro. Grazie

Parsifal ha detto...

Grazie mille, si é cercato di fornire piú elementi "oggettivi" possibile, poi ovvio che noi diamo il nostro punto di vista, ma dando accesso alle "fonti primarie" attraverso i link penso che si permetta ad ognuno di farsi la sua idea...

Le castagne... bisogna fare i complimenti a Lancillotto che si é coraggiosamente imbarcato nell'impresa ardua di cercar di rendere comprensibile la statistica ...che, diciamocelo, non piace a nessuno ;-)

Anonimo ha detto...

Devo ammettere che però non sono ancora soddisfatto della castagnata, se trovo un'attimo, magari vedo di fare a Parsifal una proposta di semplificazione ulteriore.

Comunque... se qualcuno, più bravo di noi in questo (e sono convinto che ve ne siano parecchi tra voi) ci vuol dare una mano... il nostro indirizzo lo conoscete.

Anonimo ha detto...

blog interessantissimo... complimenti davvero!
vi leggerò spesso!
Cri

Anonimo ha detto...

Grazie!

Anonimo ha detto...

Come previsto la consulenza alla fine è arrivata, ve la appiccico qui... nel caso le castagne vi siano rimaste lì.

Supponiamo di andare a raccogliere castagne in un castagneto con il 20% delle castagne bacate (è il dato "vero" che però a priori non sappiamo!!!).

Se io raccolgo 10 castagne, è possibile che ne trovi 2 con un "amico" al loro interno e quindi io abbia in effetti un'indicazione credibile su quante castagne di quell’albero siano bacate.
Però possiamo (o dobbiamo, per essere sicuri) ripetere l’esperimento “raccolgo 10 castagne”, diciamo, 100 volte.
Potremmo avere di volta in volta un numero diverso di castagne con l’ospite: una volta 3 su 10, una volta 1, una volta 4, una volta 2 e una volta 8 su 10...
Quanto più il dato si discosta da quello vero, tanto meno frequentemente si verificherà.

Su questi 100 esperimenti, se chiediamo una “confidenza del 95%” (ovvero il 95% delle volte il dato sarà verosimilmente vicino al dato vero, mentre nel 5% dei casi il dato ottenuto sarà lontano dalla realtà a causa del campionamento perchè ogni tanto ci saranno casualmente tante/poche castagne bacate vicine tra loro) ci capiteranno circa 5 casi estremi (es. 8 su 10 bacate).
Se guardassi solo questi 5 esperimenti dovrei dedurre (per un errore dovuto al caso) che l’80% delle castagne sono bacate, ma così sappiamo non è.

Per i topini (che per carnevale si sono vestiti da “castagne”) il ragionamento è molto simile, solo che invece di fare 100 volte lo stesso esperimento sono stati fatti 100 esperimenti diversi una sola volta (tutti i vari parametri…)
Poiché si è usato sempre una confidenza del 95%, anche in questo caso ci si aspettano 5 casi con valori fuori dalla norma (8 castagne bacate: argghhh il castagno-topo è gravemente ammalato al pancreas!!! O forse no?).

Allo stesso modo se nel lavoro di Seralini sono stati analizzati 200 parametri DOVRO’ trovare circa 10 dati anomali dovuti al campionamento e non al fatto che il castagno-topo è ammalato.
Se esamino 500 parametri mi aspetto 25 casi di differenze non significative al 5% (e 5 casi all'1%).
Seralini ha esaminato 494 parametri e effettivamente hanno trovato 33 differenze "significative" al 5% (e 4 differenze all'1%).


Ehi! però ora che ci guardo mi pare che tra i commenti manchino quelli di Gioyann (che peraltro sono sempre stati molto utili)... beh, se ci sei batti un colpo!

Ciao

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