martedì 21 dicembre 2010

L'Università che serve a Cipputi

E' un po' di tempo che mi stanno stracciando con questa storia della riforma universitaria. Domani si discuterà e probabilmente verrà approvata. Bene o male che sia, la cosa non mi entusiasma minimamente.

Perchè la guerra su questo provvedimento è una guerra che non mi appartiene. Vi spiego perchè.


Cos'è l'Università?
Un'università (dal latino universitas, -atis) è un'istituzione di formazione superiore costituita da un gruppo di strutture scientifiche finalizzate alla didattica e alla ricerca
Pertanto l'Università fa il suo lavoro se forma persone "erudite" (non laureati! che non significa una beata fava) e se svolge ricerca (qualunque cosa voglia dire).

Poichè da qualche parte i soldi per far andare avanti questa baracca bisogna trovarli, finora si è chiamato il signor Cipputi e gli si è detto:
Carissimo, prestami il tuo portafoglio, vedrai che con i tuoi soldi (in gergo tasse, NdL) farò una cosa bellissima che si chiama università. Questa cosa bellissima permetterà innovare e creare nuovi posti di lavoro e soprattutto permetterà anche a tuo figlio di diventare PROFESSORE!
Fantastico. Nel senso che quello che hanno fatto con i soldi del buon Cipputi non è quella roba lì. Quella roba lì è rimasta pura fantasia.

L'Università italiana, e il CNR non si tira indietro, oggi presenta in media un 20% del personale strutturato inattivo. Non necessariamente gente che porta a spasso il cane durante l'orario di lavoro, o gente che gioca al solitario, o gente che arriva alle 11 e esce alle 16 perchè deve coniugare lavoro e famiglia (a 3.000 €/mese),  ovviamente con i soldi del Cipputi che di euri ne prende 1.000 e questo problema non ce l'ha. Per lui decidono i turni.

Si tratta soprattutto di gente che pensa che essere prefessore universitario e fare ricerca sia scrivere articoli per quotidiani o settimanali, o "politica" universitaria. Stare nella cordata giusta, dire le cazzate che piacciono alla gente (oddio, qualcuno ci crede pure alle cazzate che dice) oppure fare il libero professionista.


La restante (maggior) parte, chi più chi meno, ci prova, solo che il sistema è pensato per fallire. Basta vedere le logiche con cui ragionano i ricercatori della Normale di Pisa (dei ragazzini parleremo dopo - che penosa quella che ha tirato fuori la storia della ricerca "pubblica" di Natta come esempio per ribadire la necessità di lasciare l'impresa fuori dall'università. Peccato la ricerca di Natta fosse stata finanziata dalla Montecatini. Ad ulteriore dimostrazione della Teoria della Montagna di Merda)


Vorrei far notare che la rivendicazione è sulla precarietà. In sostanza questa gente chiede che l'università sia come la posta: si entra e ci si siede. A spese del Cipputi.

Nessuno che si interroghi da dove questi nuovi posti dovrebbero spuntare fuori. Tanto per quello c'è sempre la tasca del Cipputi.


Nessuno che chieda di ripulire l'università dagli impiegati postali o dai giornalisti o da coloro cui la cattedra serve solo per la professione. Ovvero da coloro che impediscono a nuove leve di emergere e dare il loro contributo. 


Nessuno che chieda non la stabilizzazione per sè, ma la precarizzazione dei baroni (come se uno bravo dovesse avere paura di una precarietà basata sui risultati).

Questa gente non potrà mai cambiare l'università, perchè vuole l'università che già abbiamo. Con le logiche che già abbiamo. Vuole solo qualche soldino in più per creare un posticino a tempo inderteminato anche per sè. Tutto qui.

Vuole un'università come amortizzatore sociale a conduzione baronale.

Un sistema dove, ricordiamolo, le facoltà di "scienze della sugna (o qualunque altra parola trendy del vocabolario)" si sono moltiplicate come funghi sfornando decine di migliaia di operatori di teleselling tutti gioiosi e ridenti perchè altro non sanno, nè possono fare.

Un sistema dove la qualità della didattica è in picchiata libera perchè sempre più spesso affidata agli ultimi arrivati. Perchè la didattica per molti professori è due palle e interferisce con la professione.

Un sistema dove non puoi più segare a un esame un ignorante perchè la circolare ti dice che bisogna migliorare il rating dell'Università e quindi promuovere tutti. Un ignorante è poi molto utile, se vorrà fare carriera, dovrà dipendere interamente dalle briciole gettate a terra dal suo barone, a cui sarà eternamente debitore. Parola d'ordine: fare anticamera.

Un sistema che sforna neolaureati lobotomizzati che pensano che questa università sia il mondo migliore possibile (nonchè unico) dove vivere, lavorare ed essere sfruttati a ufo, perchè l'impresa è il male supremo perchè sfrutta il povero Cipputi (ironia della sorte).

Un sistema in cui si contano con il lanternino i concorsi universitari di cui non si conosce a priori l'esito e dove, ops, il figlio del Cipputi, il ricercatore brillante, arrivano quasi sempre secondi.


Cos'abbiano dunque a che vedere le proteste di questi giorni, o la legge in discussione (per curiosità, qualcuno l'ha letta?), con la risoluzione di questi problemi, io non l'ho ancora capito.




Si potrebbe fare qualcosa? 

Certo, ma non si farà.

Basterebbe infatti una legge semplice, semplice. Senza tanti articoli.
Art. 1
Tutte le chiamate a ricoprire incarichi di ricerca presso le università hanno durata di anni 5 indefinitamente rinnovabili.
(In modo tale da lasciare la possibilità a chi non lavora, a chi vuole star dietro alla famiglia, a chi vuole seguire la professione, a chi vuole fare politica, a chi è stanco, di continuare tranquillamente a fare tutto questo, ma per lo meno non a spese del buon Cipputi*)
Art. 2
I criteri di chiamata sono basati su standard minimi oggettivi di livello internazionale. 
(non è possibile avere professori associati con h-index = 1. Basterebbe definire anche solo l'obbligo di un h-index (g-index, o qualunque altro indice oggettivo riconosciuto a livello internazionale**) minimo per accedere alle posizioni da ricercatore, per quelle da associato, per quelle da ordinario. Questo sarebbe sufficiente non solo a scremare un bel pò di spazzatura che siede nelle Università, ma anche a impedire alla gente di sedersi sugli allori e far fruttare, per una volta, l'investimento, non dimentichiamolo, che facciamo per migliorare la competitività del paese)
Art. 3
I fondi alla ricerca sono suddivisi per parametri di merito con criteri riconosciuti a livello internazionale tra le facoltà e tra i docenti della facoltà.
(a chi più ha, più sarà dato, a chi non avrà fatto fruttare quel poco che aveva, sarà tolto anche quello)

Allora sì, vedrete che in questa università ci sarà posto sia per il figlio "bravo" del Cipputi sia per una ricerca che sappia lavorare per la competitività del paese. Ma, a quanto pare, nessuno vuole un'università competitiva. Lavorare stanca. 


Nota a margine

(*) Non significa che non potranno più insegnare. Solo che saranno prof. a contratto, se proprio.

(**) Non esiste un indice perfetto. Ad esempio dall'h-index andrebbero tolte le autocitazioni, andrebbero valorizzati gli articoli pionieristici, andrebbero considerati anche gli articoli di cui il ricercatore è primo o ultimo nome. Ma tra un indice oggettivo imperfetto e l'uso di criteri soggettivi o manipolabili alla bisogna, non c'è storia.

15 commenti:

Anonimo ha detto...

fino alla proposta di abolire stato ed istruzione alla fine!!

Giordano Masini ha detto...

Io la farei ancora più semplice, se è possibile. Ogni università (ma andrebbe bene anche per la scuola) dovrebbe essere libera di assumere (e licenziare) chi vuole, di pagare i docenti e i ricercatori quanto vuole (uno più bravo e produttivo dovrà guadagnare un po' di più, no?) far pagare le rette che vuole (un'istruzione migliore costa di più, no?) ed essere libera di gestire il suo patrimonio in completa autonomia. Solo che non dovrebbe prendere più neanche una lira dallo Stato.
Lo Stato non finanzierebbe più direttamente le università, ma finanzierebbe gli studenti (buono scuola) che potrebbero scegliersi l'università che più aggrada loro.
In questo modo non ci sarebbe neanche più il problema dei criteri (sempre opinabili) per la valutazione del lavoro dei docenti. Semplicemente, se lavorano male a quell'università si iscriverebbero meno studenti, quindi o il consiglio di amministrazione li manda a casa oppure l'università fallisce. O cominciano a produrre ricerca di qualità spendibile sul mercato, o si chiude.
E comincerebbero anche a contendersi, come avviene altrove, gli studenti migliori, a prescindere dal censo, a suon di borse di studio.

bacillus ha detto...

Io non ho avuto la fortuna di frequentare l'università.
Proprio per questo l'argomento è sempre stato di mio interesse. Non mi ci è voluto tanto tempo per capire come stavano le cose.
E' come dici tu, Lancillotto. E' giusto dirlo, è giusto sottolinearlo, in contrapposizione al mare magnum di demagogia lagnosa e lamentosa che ci sta sommergendo.
No Gelmini è l'ultima persona che poteva apporre la sua firma su una legge per l'università. Ma è anche vero che ancora una volta i problemi VERI rimangono in tutta la loro drammatica essenza. Per protestare contro quei problemi mai nessuno è sceso in piazza.

leppie ha detto...

La ricerca spendibile sul mercato?
Ok. Niente più mp3, niente più energia nucleare, niente più internet sicura.
Tanto per dire le prime cose che mi vengono in mente e che sono basate su matematica che ai tempi aveva ben poco mercato.
Anzi, Hardy si dedicò alla teoria dei numeri proprio perché pensava fosse priva di rivolti pratici e in particolare bellici. Poi il tempo gli ha dato torto marcio, ma poco importa.

La ricerca "spendibile sul mercato" non è brutta e non è cattiva. Ma non dev'essere l'unica.

Anonimo ha detto...

@ Anonimo. Non esageriamo!

@ Giordano. La cosa mi pare un po' troppo utopica, o no?

@ Bac. Parole sante!

@ Leppie. Il punto non è tanto fare una ricerca per l'impresa (l'h-index che proponevo misura le pubblicazioni scientifiche, non brevetti, commesse, o altro), ma fare una ricerca che non disprezzi l'impresa.
Questi ragazzi quando parlano di università svincolata dal mondo produttivo (reale) di fatto pensano ad un grosso carrozzone che serva a bruciare i soldi del Cipputi per pagare i loro stipendi.
No, non può funzionare, in particolare in recessione. L'università deve servire invece a generare scoperte e innovazioni che cambino la nostra vita (in meglio si spera). Per questo è necessario anche un contatto con il mondo reale e l'impresa (per favorire il trasferimento tecnologico). FP7 insegna. Così come tutti gli esempi che hai fatto tu. ;)

Giordano Masini ha detto...

Beh, non so quanto sia utopico (penso che ormai in un paese come questo si otterrebbe di più proponendo di cambiare radicalmente il sistema piuttosto che correggendolo), e non sono sicuro che non funzionerebbe. Non sono proprio un esperto, ma mi pare che in America funzioni proprio così, con le università pubbliche e quelle private che si finanziano sostanzialmente allo stesso modo: rette e fund rising.
ma per fortuna che a inventare internet e l'mp3 ci abbiamo pensato noi, che non ci facciamo trascinare dal profitto... :-)

Anonimo ha detto...

@ Giordano. L'utopia era riferita alla possibilità che un sistema del genere possa funzionare in Italia. Mi spiego.

Non si può pensare ad un buono scuola indiscriminato, dovrai in qualche modo legarlo al merito. Non è che dai il buono scuola a gente con la media del 18 e 5 anni fuori corso.

Nasceranno dunque come funghi non solo università di qualità, di elite, ma anche (e soprattutto) università che garantiscono il completamento del ciclo universitario nei tempi e con i voti richiesti dalla legge (l'azzeccagarbugli è un'invenzione nostra). Laureifici.

Il mercato rifiuterà questa gente. Forse. Aboliamo il valore legale del titolo. Magari funziona.

Sta di fatto però che lo Stato (cioè noi) butta nel cesso milioni di euro per mantenere università solo di facciata che fanno formazione di basso, se non infimo livello dequalificando ulteriormente il sistema dell'istruzione solo perchè dei culi stanchi o delle menti opache vogliono la laurea e lì gliela danno insieme ai saldi di fine stagione.
(mai dato un'occhiata alla qualità dei corsi post-laurea specie quelli rivolti agli insegnanti?)

L'Università CEPU, sencondo me, è quello cui ci porterebbe una riforma di quel tipo e non so se è quello che avevamo in mente.

nicolap ha detto...

Il problema è che la cultura del ricatto e del favore che vige in questo paese crea danni sia nella gestione a tempo indeterminato dei contratti (di qualsiasi tipo siano) sia in quella a tempo determinato.
Se poi i soldi sono pubblici peggio ancora, ma io un'Università solo privata proprio non me la vedo, soprattutto se i finanziatori sono quelli che in italia hanno piùdisponibilità economica, ovvero i peggio cialtroni.

Giordano Masini ha detto...

alt, attenzione! Per me l'abolizione del valore legale del titolo di studio è la precondizione per qualsiasi discorso. E' chiaro che se per lavorare è necessario il "pezzo di carta" bollato dallo Stato avranno successo università che sfornano pezzi di carta a basso costo.
Ma se il pezzo di carta non avrà nessun valore legale è abbastanza probabile che il mercato chiederà, coerentemente con la tua definizione di università, semplicemente gente erudita, e avranno successo le università in grado di fare ricerca di qualità e selezionare il merito di studenti e docenti, cosa fondamentale per costruirsi un nome e una fama all'altezza.

Unknown ha detto...

Il terzo punto e' mal esposto. Puoi semplicemente dire che i fondi alla ricerca vengono dati col numero di brevetti effettivamente sul mercato di proprieta' dell'universita'.

Per quanto riguarda la resa degli studenti, basta decidere che almeno il 30% di ogni appello, la parte peggiore, vada bocciata. Vedrai che ricominciano a correre.

Uriel

Anonimo ha detto...

@ Giordano. Campa cavallo che l'erba cresce! ;)

@ Uriel. Volutamente lascerei fuori brevetti (che sono solo un costo che i prof sono molto bravi ad affibiare alle università) e licenze (che sono un valore già di per sè) per la determinazione dei fondi alla ricerca. Usiamo solo un parametro scientifico adatto a valutare tutto, in particolare la ricerca di base che per me è molto importante perchè genera "futuro". Anche se, secondo me, non esiste differenza tra "base" e "applicata" specie nell'era post-genomica (non so negli altri campi). Ciò che le distingue, per esperienza, è solo la mentalità (o più banalmente l'intelligenza) del ricercatore che la compie.

Per quanto riguarda gli studenti, dedicherò un altro post in futuro. Di sicuro l'idea di una università di massa è uno dei più grandi fallimenti storici della sinistra italiana.

Gianni Comoretto ha detto...

Sono un ex normalista, e mi sembra singolare che si critichi una persona che chiede sbocchi professionali proveniente da una scuola che sembra incarnare il modello di università che desiderate: competizione all'estremo, costi zero per lo studente purché non vada fuori corso e sia (a spanne) nel 5% top dei risultati universitari.

Sono un astronomo: ricerca inutile per eccellenza. Anche se con un breve conto si è visto che la ricerca tecnologica prodotta nel mio istituto produce entrate per lo Stato (in tasse sulle commesse industriali internazionali) maggiori del costo della ricerca stessa.

Questo non evita che ci sia un sostanziale blocco delle assunzioni, un ricorso massiccio al precariato, e anche con tutta la "meritocrazia" che è possibile usare, un sacco di giovani, laureati con il massimo dei voti e che per un decennio ha diretto progetti scientifici internazionali a 1000 euro il mese, non possono trovare lavoro.

Francamente vedo con terrore le riforme proposte. Oggi la logica del "publish or perish" produce valanghe di pubblicazioni assolutamente inutili, cross-citate nel giro, spesso chi fa cose davvero valide pubblica relativamente poco. Soprattutto nel campo della biologia, un ricercatore che fa 300 articoli l'anno che credibilità ha? E ormai un 30-40% dei ricercatori sono appunto "precari": non sanno se l'anno prossimo saranno confermati, indipendentemente da quanto siano bravi.

Sulle proposte di universita' private pure mi tremano i polsi. Le scuole superiori private le vediamo, sono dei diplomifici, e abbassano drasticamente la media della qualità dell'istruzione in Italia.

Anonimo ha detto...

@ Gianni. La soluzione quale sarebbe? continuare ad assumere a tempo inderminato gente solo perchè è "brava"?

Se l'astronomia genera commesse, non mi pare tanto inutile.

Si può scegliere l'indice che si vuole, ma un indice sia. O preferisci il sistema di cooptazione attuale?

Sulle scuole private. Ce ne sono di tutti i tipi, come quelle pubbliche (alcune nate addirittura prima delle pubbliche). Come le Università. La Bocconi, la Cattolica, la LUISS, la LIUC sono forse Università per soli cretini?

Gianni Comoretto ha detto...

Sulle assunzioni. La ricerca in Italia è drasticamente sotto i parametri degli altri paesi di livello comparabile. E questa ricerca oggi viene fatta con contratti a termine di 1000 euro, rinnovati ogni 6 mesi. Circa il 30% del personale di ricerca è in questa situazione, e solo uno su 10 in media riesce ad entrare.

Delle due una:
- si decide che "con la ricerca non si mangia" e si chiudono i centri (anche quelli che producono commesse), senza illudere persone per un decennio prima di metterle in mezzo alla strada
- si dà prospettive decenti alle persone brave, quelle che si fanno un mazzo per studiare. Compreso un periodo stile "tenure track" (contratti di ricercatori a tempo determinato), ma con una ragionevole possibilità di vedere il posto convertito in uno a tempo indeterminato se te la sfanghi bene.

Della riforma Gelmini la parte sui ricercatori a tempo determinato max per 8 anni è la più demenziale. Chi ha detto che se uno non vince un concorso da associato non può fare il ricercatore? Come dire che se sei un operaio e non riesci a farti promuovere quadro non sei in grado di fare l'operaio. O che un graduato che non diventa generale è un inetto.

O che se non vinci il Nobel non sei degno di dirigere il CNR (questa l'ho già sentita...)

Anonimo ha detto...

Il problema dell'Università italiana non è che non ci sono fondi pubblici per la ricerca, ma semmai che mancano quelli privati e quelli pubblici sono spesi in gran parte per pagare stipendi di ordinari e associati, una buona fetta dei quali ha una produzione scientifica ridicola.

In questo contesto non si può pensare che la produttività aumenti assumendo altra gente a tempo indeterminato (per quanto possa essere una "giusta" aspirazione). La produttività può aumentare se si tagliano le mele marce e i soldi che servivano a pagar loro gli stipendi vengono dati a coloro che lavorano di più e meglio.

Se si vuole un posto a TI si vada nell'industria. L'Università non è un parcheggio. Lì o si lavora per il paese o si va a casa.

Questo non solo permette di avere un'università utile al paese, ma anche di offrire opportunità a quei ragazzi che dimostrano di avere i numeri per stare in univ. Ragazzi con magari 10 anni di esperienza internazionale e che oggi nel nostro paese non hanno alcuna possibilità (no anticamera, no party).

Perchè dovrebbe spaventarti questo?

PS. l'errore della Gelmini non è stato precarizzare i ricercatori, ma farlo senza precarizzare anche associati e ordinari.

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