A volte scoprire l'acqua calda può rivelarsi interessante oltre che utile, come ad esempio in questo caso.

Probabilmente molti di voi, guardando questa figura non ci vedranno granchè, ma in realtà (di)mostra una cosa molto importante, che si è sempre sentita dire, ma che non si era ancora resa EVIDENTE.
Questa figura, che viene da
un recente articolo pubblicato da PNAS, dimostra che i metodi di miglioramento genetico "tradizionali" (
in questo caso la mutagenesi) sono ben più invasivi per la pianta dei metodi usati per la produzione degli OGM. Ma facciamo un passo alla volta.
C'era una volta il WT
Una volta, tanto tempo fa (ed oggi ancora ai bordi di qualche campo o in qualche landa più o meno sperduta), cresceva una specie selvatica (Wild Type - WT) che è improvvisamente divenuta interessante per l'uomo.
Questa manifestazione di interesse da parte dell'uomo ha però implicato fin da subito per la pianta l'inizio di un lungo processo di "modifica". Processo tutt'altro che marginale sia delle sue proprietà nutrizionali, ma anche del suo stesso aspetto (come si può osservare molto bene confrontando ad esempio il teosinte con il mais)... ma la cosa più importante è che
queste modifiche sono state "strutturali" ovvero "genetiche", tanto che vengono trasmesse di generazione in generazione.
Gli effetti dei processi di selezione "umana" sul genoma delle piante sono stati esemplificati molto bene da
Ingo Potrykus in questo schema:


Tutto questo
modifichio ha sempre fatto ritenere agli operatori del settore che le tecniche di ingegneria genetica legate agli OGM fossero più mirate e meno invasive rispetto a qualunque altro processo di selezione. Fino ad ora però mancava
"the smoking gun"...
...ed ecco che arriva l'articolo di Batista e collaboratori che dimostra 2 cose molto importanti(*):
1)
Quando io trasformo una pianta (e creo un OGM) faccio molti meno danni alla pianta rispetto a quando uso metodi "convenzionali" come il
mutational breeding.
2) Dopo 3 generazioni da quando ho usato i metodi "naturali" o di ingegneria genetica, tutta la situazione trova un suo equilibrio e la pianta in entrambi i casi trova una sua "normalità".
Il take home messageIl messaggio
urbi et orbi di queste 2 osservazioni è a nostro avviso racchiuso efficacemente nelle parole di Batista e compagnia(**):
"Abbiamo trovato che il processo di miglioramento genetico può causare stress alla pianta e portare ad una alterazione nell'espressione anche di geni non interessati dalla modifica.
In tutti i casi studiati queste alterazioni sono maggiori nelle piante mutagenizzate. Noi proponiamo dunque che la procedura di valutazione del rischio sia applicata seguendo un approccio caso per caso e non semplicemente ristretta ai soli OGM"Noi ci limitiamo ad annuire.
Note a margine
(*) Alcuni numeri: Il genoma delle piante annovera all'incirca 30.000 geni. Batista et al. hanno trovato che il processo di mutagenesi aveva alterato l'espressione di 11.000 geni (1 su 3!) mentre l'ingegneria genetica solo 2.000 (1 su 15).
In ogni caso dopo 3 generazioni i geni, che mantengono una espressione alterata, nel caso della mutagenesi sono 50 (1 su 600) mentre per la transgenesi 25 (1 su 1200). Questo secondo fatto è peraltro la dimostrazione di come i sistemi biologici vegetali siano molto "robusti" e sappiano ripristinare un equilibrio autonomamente, anche dopo aver subito uno scossone "trascrittomico" che ha coinvolto l'espressione di 1/3 dei propri geni.
(**) We found that the improvement of a plant variety through the acquisition of a new desired trait, using either mutagenesis or transgenesis, may cause stress and thus lead to an altered expression of untargeted genes. In all of the cases studied, the observed alteration was more extensive in mutagenized than in transgenic plants. We propose that the safety assessment of improved plant varieties should be carried out on a case-by-case basis and not simply restricted to foods obtained through genetic engineering.